Femmine, parole e stereotipi: il valore della donna nella comunicazione

da | Lug 28, 2020 | Reputation people

ReputationLab è donna. Oggi vi apriamo la porta del nostro ufficio e vi coinvolgiamo nelle nostre grane. Sì, cari amici, oggi son grane perché parliamo di femmine.

Non scappate, dichiariamo solennemente che non è nelle nostre intenzioni far polemiche o prediche. Ci va solo di far due chiacchiere, raccontarvi qualcosa che ci riguarda da vicino e riflettere insieme a voi sul cambiamento. Parlare di donne essendo donne non è facile per niente: apriamo a tutti l’invito ad entrare in questa conversazione, che vuole continuare oltre le ultime righe di questo post blog.

Venghino, signor* venghino! Raccontateci il vostro punto di vista, dateci consigli, idee e opinioni sull’argomento, anche perché la questione riguarda un po’ tutti.

Rassegna stampa di prima mattina

Qualche giorno fa eravamo, come al solito, in riunione mattutina; intente attorno al grande tavolo bianco della nostra agenzia, sul tavolo c’era un po’ di tutto – computer, caffè, agende e agendine e anche qualche brioche con le gocce di cioccolato, ché la dieta si sa, comincia sempre domani.

Facevamo rassegna stampa, un giro panoramico del mondo attraverso la lettura dei quotidiani, come accade ogni mattina in agenzia; sfogliando le ultime news, ci siamo ritrovate tutte d’accordo nel dire che la questione di genere ultimamente spopola tra titoli di giornali ed eventi mondani.

Giusto per dire, avete notato che faccia ha la leadership europea? La top three delle presidenze è praticamente rosa shocking: Angela Merkel al Consiglio dell’Unione, Ursula Gertrud von der Leyen alla Commissione e Christine Lagarde alla Banca centrale. Buone notizie, insomma, dal vecchio continente che si lascia ufficialmente andare al sogno della parità uomo-donna.

La verità, però, è che sulla questione di genere c’è ancora un sacco di strada da fare. Per capirlo basta buttar un occhio sui quotidiani e sulla vita vera di ogni giorno.

Per esempio, in fatto di occupazione femminile l’Italia è tra gli ultimi stati dell’Europa, fanalino di coda dopo Grecia e Malta. Dagli articoli saltano sempre fuori vecchie storie come la disparità degli stipendi – i maschietti si ostinano a guadagnare di più! – e anche la faccenda dei figli, benedetti figli che sono sempre delle madri: in Italia una donna su tre lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio.
Al Sud, poi, la situazione fa piangere dalle orecchie.

Un’agenzia di femmine

Non vogliamo star qui a fare le pulci alle statistiche: noi leggendo questi numeri, però, ci troviamo a fare i conti con quello che siamo, cioè un’agenzia di femmine. Infatti, come fu e come non fu non sappiamo dirvelo, abbiamo tutte la fatale coppia di cromosomi XX.

Il mondo parla tanto delle donne e del lavoro ed è stato spontaneo sentirsi tirate in ballo. Tra tante, una questione per noi rimane aperta al centro della discussione: ‹‹Come facciamo a comunicare la nostra realtà, femminile tout court, senza incappare nel rischio dello stereotipo e dell’autoreferenzialità? Come possiamo superare gli stereotipi di “femminismo da sterile rivendicazione”, portando valore con le nostre caratteristiche specifiche?››. Il mondo della comunicazione si nutre di diversità: essere donne oggi in questo settore significa mettere a frutto le caratteristiche che ci contraddistinguono (empatia, profondità, capacità di organizzazione pragmatica e una spiccata voglia di comunicare).

Non è un interrogativo fine a sé stesso, è una questione che riguarda noi, che scriviamo, e voi tutti, che leggete. Non vogliamo che sia un maschi contro femmine né essere travisate come amazzoni che spezzano le ossa e fanno paura (no, non storcete il naso. Dirsi donne in carriera in alcuni fa scattare un’inaspettata molla d’acidità: da donna in carriera ad amazzone pericolosa da evitare e scansare come peste nera, è un attimo).

Con un atto di onestà vi diciamo che noi non sappiamo ancora quale sia la giusta formula narrativa del femminile. Ci sono, però, due o tre cose che vorremmo fissare alla base del ragionamento. Vi va di seguirci ancora per qualche riga?

Che sia la donna a raccontare la donna

La narrazione femminile è stata a lungo appannaggio degli uomini e questo ha ovviamente creato delle distorsioni; noi per prime incappiamo nella difficoltà di raccontarci senza sfociare nella trappola del giudizio patriarcale (ci teniamo a precisarlo, “patriarcale” non è sinonimo di “maschile”).

La problematicità della narrazione femminile potrebbe in parte dipendere dal fatto che, nell’immaginario comune, una donna forte per essere tale deve assumere dei connotati maschili. A tal proposito, viene in mente una domanda posta durante un episodio di “Buon vicinato”, il format video su YouTube che Michela Murgia s’è inventata durate la quarantena: esiste una rappresentazione del potere femminile che non sia un surrogato del potere maschile o che non lo mini?

Anche questa domanda rimane irrisolta, confidiamo che, continuando a riflettere insieme, degli indizi per rappresentare la realtà femminile verranno fuori.

La donna con le parole ci sa fare

Se è per caso che siamo un’agenzia di donne, è per scelta, per studio e vocazione che siamo un’agenzia di comunicazione. Nessuna pretesa di superiorità né presunzione, ma una certezza: nell’ambito della comunicazione e del digital markerting la prospettiva femminile può fare la differenza.

Vi spieghiamo perché: nessuna invalicabile presa di posizione, solo considerazioni pratiche che fanno emergere il valore dalla differenza tra i sessi.

  • Empatia portami via

Per ragioni biologiche che non indagheremo in questa sede, le donne hanno una sensibilità altra rispetto a quella degli uomini. Siamo mediamente più aperte all’emotività, attente a cogliere le sfumature e a metterci al servizio.

Il nostro modo di approcciare la realtà e processarla ammette una profondità che passa per più livelli, scandagliamo il dettaglio e valutiamo lo scibile a nostra disposizione.

Ecco, noi pensiamo che nella comunicazione il tratto empatico sia essenziale per sintonizzarsi con i clienti e con il pubblico. La familiarità della donna con la sfera emotiva è un prezioso elemento che può aiutare a raggiungere una comunicazione vera e di qualità.

  • L’epica utilità del bla bla bla

Il cliché vuole che le donne chiacchierino tanto, forse troppo. Stiamo lì a commentare tutto: abbiamo parole per ogni cosa. Ci piace proprio rimuginare sugli accadimenti e raccontarci i fatti: avete idea di quanto possa durare un caffè con un’amica l’indomani di un evento?

Siamo fatte così, ma non complicate come dice la Mannoia, siamo complesse alla stregua del mondo; il che non dovrebbe essere un problema: avere parole a sufficienza per capire le sue domande e sapergli rispondere è un gran bel vantaggio.

  • Pragmatismo collaterale

Dalle nostre parti, in Sicilia, le cose si possono fare in molti modi, tra questi c’è quello alla fimminina. Quando si dice, per esempio, fare i conti alla fimminina si intende un calcolo non preciso, ma svelto e risolutivo.

L’espressione risale a quando c’era tanta gente che non aveva familiarità con carta e penna (le donne più che gli uomini) e per fare i conti ricorrevano alle dita e all’approssimazione. Insomma può avere un senso dispregiativo, ma è anche sinonimo di grande pragmatismo.

Chissà, forse è perché abbiamo passato secoli ad agire dietro le quinte, ad allevare figli e amministrare case. Forse sì, forse no, quel che è certo è che le donne sono molto più operative di quello che lo stereotipo vuole.

La diversità è ricchezza

Il 3 luglio è uscita su “La Repubblica” un’intervista a Fabiola Gianotti, direttrice del Cern, che si chiedeva se davvero possiamo permetterci il lusso di non valorizzare al meglio metà della nostra popolazione. La domanda era ovviamente retorica, perché no, non possiamo permettercelo. Sarebbe da sciocchi sconsiderati.

La questione di genere, come molte altre questioni sociali, dipende dal concetto di diversità. Se è vero che l’uomo e la donna sono diversi, non è necessario che siano l’uno subalterno all’altro né nemici.
La diversità è ricchezza e noi ci ostiniamo ad essere poveri, chissà perché.

Adesso basta, abbiamo parlato fin troppo. Come ci dice spesso la nostra CEO di ReputationLab, Santina Giannone: “È una vita che ci alleniamo per essere utili, adesso è arrivato il momento e l’occasione di dimostrare come abbiamo imparato bene”.

 

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